Arturo Vermi

Note dell'Artista

Lettera aperta

Fare un riassunto di tanti anni di lavoro (30 almeno) in poche righe, è quanto mai arduo, e ingiusto. Procederò quindi come in un calendario cercando di spiegare almeno i motivi contingenti e sociali che hanno motivato la mia ricerca.

1956; data della mia prima personale al Centro Culturale Pirelli, esponevo dei quadri figurativi nei quali era leggibile la fresca, entusiastica assorbenza dell’espressionismo tedesco e dell’impressionismo. Feci però in fretta a distruggere tutto ciò che di figurativo poteva esservi nel quadro e già nel ’58 le mie tele erano informali, passaggio obbligatorio per ricostruire un linguaggio che tenesse conto della metamorfosi tecnologica e scientifica in atto nella società. Io però sentivo, già allora, la necessità di una certezza, di un credo che giustificasse la vita sul pianeta, una figura determinata, rigorosa come un quadrato.

Il quadrato era sempre la soluzione finale di ogni mio quadro di quel periodo.

Siamo intorno al 1960, presi uno studio a Parigi e in un paio di anni di permanenza ebbi modo di toccare con mano l’informale, era nato con Dubuffet, Fautrier, Soulage, Poliakoff, e di sentire cosa ci fosse allora nel calderone ufficiale dell’arte contemporanea. In quel tempo a Parigi c’erano anche i cubisti col loro strascico, i surrealisti, i pittori che poi Pierre Restany definì “nuovi realisti”, e tutto un panorama culturale che altro spazio e altro tempo occorrerebbe per descrivere. In quegli anni feci quasi esclusivamente incisioni, acqueforti, litografie.

È tutt’ora mia convinzione che il successivo lavoro di “segno” che feci, ebbe radici lì. Così tornai a Milano, dove il fermento della ricerca mi sembrava più vivo ed attivo. Basta citare il gruppo “degli 8”, i “realisti”, gli “informali”, nonché i “nucleari”, Piero Manzoni, Lucio Fontana, e poi il nostro gruppo “del cenobio” il gruppo “T”, gli “oggettuali”. Queste le “etichette”.

In realtà la pittura non è mai a “compartimenti stagni”, incomunicanti tra loro; si tratta piuttosto di “vasi comunicanti”; non ho mai conosciuto pittori, anche di diverse tendenze, con i quali non abbia avuto uno scambio.

Ma torniamo alla cronologia del mio lavoro. Le esperienze grafiche fatte a Parigi mi portano a incidere delle tracce nel quadrato, dei segni, delle scritture che chiamerò “diari”, o “storie del Mago Sabino”. Questo è un periodo in cui il segno è interprete dello spazio in cui dipingevo, proposto anche come immagine concettuale. La presenza, le marine e i paesaggi di quel periodo altro non erano che dei “concetti” di presenza, di marina e di paesaggio.

Nel 1965 cominciai un lavoro che definirei di spazio. Per spazio, ora, intendo il vuoto, lo spazio al di fuori della Terra, lo spazio cosmico. L’uomo infatti, per la prima volta nella sua esistenza, vince la forza di gravità, conquista che avrebbe cambiato le sorti della intera umanità, anche se non se ne rende conto, occupato com’è a vivere il proprio “quotidiano”. Ma si hanno indicazioni di cosa sarà l’uomo futuro se saprà superare quei problemi contingenti che gli impediscono di essere felice e di vivere in termini di anni luce.

“Invasione, per un approdo”, “Figure in un tempo-spazio”, “20 milioni di anni luce”, “Piattaforma”, “Esodo” ( datato1974 ), sono i titoli con cui identificavo i miei lavori. Un periodo questo anche abbastanza fortunato poiché anche la critica, solitamente cieca e sorda ad ogni innovazione avveniristica, mi fu accanto. Lo testimonia il successo attribuitomi nelle mostre alla Galleria Blu, alla Rotonda della Besana, ai Piombi di Venezia, e i relativi scritti di Tommaso Trini fino al 1975, anno in cui, ahimè, dichiarai “il disimpegno”, dopo di che fui sommariamente giudicato dai miei esegeti, e quindi esiliato.

Qui occorre che faccia una breve riflessione, per me e per chi legge, perché non si incorra nell’errore, e nell’equivoco in cui in cui incorsero la critica e i miei estimatori.

Nel ’75 ebbi un’intuizione che certamente cambiò la mia vita e il mio lavoro. Noi siamo abituati a credere che i cambiamenti avvengano di colpo per essere certi che siano tali. Non è vero. Il cambiamento non avviene di colpo, perché  il cambiamento non avviene. È un continuo andare avanti.

 

Non v’accorgete voi che noi siam vermi

Nati a formar l’angelica farfalla

Che vola alla giustizia senza schermi

 

Cito dal “Purgatorio” di Dante la mirabile parabola della vita dell’uomo. L’uomo prigioniero della forza di gravità, dell’ignoranza, con la scienza e la cultura mette le ali per proiettarsi nel futuro cosmico, verso un tempo di anni luce, verso la felicità.

La felicità quindi è il problema: e questo è il tema del mio futuro lavoro. Questo dopo la dichiarazione del disimpegno che qui riporto testualmente: Dichiaro iniziata l’era del disimpegno, poiché oggi sono diverso da ieri, devo modificare o negare ciò che ho affermato ieri. Senza questa libertà, non c’è evoluzione, progresso, scienza, felicità. Quindi basta impegni con: il padre, la madre, i figli, la patria, il dogma, gli ideali, la parola data, ecc. ecc. Facciamo soltanto ciò che ci fa felici.

Stampai questo manifesto e lo affissi in tre città italiane, feci un mostra alla galleria Arte Struktura e ai lati della dichiarazione del “disimpegno” misi due pannelli bianchi invitando il pubblico a scrivere cosa gli piacesse fare sull’uno, e cosa non gli piacesse fare sull’altro. Ne risultò una verifica chiara e terrificante: facciamo ciò che non vorremmo e quello che ci piacerebbe fare viene vietato.

Cominciai così un nuovo ciclo di lavoro il cui contenuto doveva essere il più possibile semplice e, in un certo senso, primordiale.

I “colloqui”, “luna-terra-sole”, dove evidenzio il particolare che sul pianeta Terra viviamo noi, e ancora il cielo è azzurro e l’erba verde, e visto che il vivere felici dipende da noi, la scelta è facile: “Se la cultura non dà felicità non è cultura”.

Ho cominciato a lavorare per la felicità dando per scontato che l’uomo saprà superare gli ostacoli contingenti e che l’obiettivo sarà raggiunto. Nel 1975 pubblicai un giornale dal titolo “L’AZZURRO”, sul quale pubblicai solo cose belle, avvenimenti felici. Smettiamo di sentirci colpevoli di essere felici, siamo colpevoli di non esserlo!.

E così lavorando ho individuato in uno dei tanti oggetti-simbolo del nostro tempo la causa dei nostri mali: l’orologio, infernale oggetto che suddivide la nostra vita in frazioni (perfino in millesimi di minuto secondo), che stabilisce come e quando dobbiamo fare una cosa, e ci fa alzare dal letto anche se abbiamo sonno, che ci fa mangiare anche se non abbiamo fame, e lavorare anche se non ne abbiamo voglia. Allora ho inventato un misuratore di tempo più umano, più in sintonia con in nostri desideri e in armonia con la natura: L’ANNOLOGIO che compie il suo giro in un anno come la Terra intorno al Sole nell’avvicendarsi delle sue stagioni

Questa opera in ordine cronologico è l’ultimo mio lavoro. La mia intenzione è di fare solo cose belle, non voglio più analizzare gli errori e gli orrori degli uomini nè tramandarne la memoria.

Finalmente si cominciano a fare conferenze il cui tema è “la felicità”: bisogna sapere di Jenner, non di Napoleone!

Questi sono dati che ci porteranno alla conoscenza, alla soluzione.

Arturo Vermi

(maggio 1983)

 

Appunti dell’Artista

Sebbene mi renda conto che lo scrivere di me compete meglio a uno scrittore o a un critico insomma a un uomo di penna, tenterò ugualmente, con questo mio usurpato gesto, di fare il punto a cui sono giunto in questa mia indagine di Pittore.

Dai “Diari” fatti ormai 10 anni fa, nei quali io ho voluto cancellare la superficie e lo spazio (non solo fisico) su cui il pittore era costretto ad operare, cominciai a sentire l’esigenza di un respiro, di una pausa, come quando uno urla di rabbia per anni, anni e anni, e si sente spossato, sfinito, distrutto.

E poi la necessità di una calma, di un silenzio e così cominciai a riavermi piano piano, a sentire alcuni valori affiorare: valori semplici, allo stato brado, essenziali e puri ed ecco che trovai la pagina bianca, lo spazio ma non per riempirlo bensì per spogliarlo e lasciarvi un segno orizzontale argenteo in mezzo a un blu, oppure due segni in mezzo a tutto il quadro vuoto e così quella serie la chiamai “paesaggi”: segni in un angolo in basso a destra di chi guarda il quadro (in mostra da Cadario nel 1964).

Questo è importante che lo dica perché fu questo lavoro che mi indicò il significato vero di spazio: cioè lo spazio è tale in quanto noi siamo un punto in esso.

Così cominciai a costruire degli spazi con un’isola (che tecnicamente chiamai “inserti”), un rettangolo in uno spazio più grande, molto più grande, con delle tracce o dei segni che cercano un approdo (in mostra da Cadario ’69).

Così, di quadro in quadro, arrivai a questo lavoro, in cui per rendere ancora più visibile questo vuoto fatto di spazio-tempo incurvai la superficie cosicché queste figure che appaiono su di essa siano come isole nel deserto del tempo.

A questo punto penso proprio che sia inutile che continui a tentare di inoltrarmi in questo discorso, perché io scrivo come uno che sa già cosa vuol dirvi – e invece io, a parole, non voglio dirvi quello che so, ma suscitare in voi – che guardate il mio lavoro, qui – il dubbio di questa dimensione proiettarci là – nel tempo. Vicino a quel frammento – dove forse siamo già – senza saperlo – o ci saremo tra migliaia di anni – chissà.

Arturo Vermi

(marzo 1971)

 

Riflessioni

C’è una irrazionalità, un imponderabile, infine una differenza tra quello che potremmo percepire e quello che invece percepiamo!

Se guardassimo una lastra di acciaio levigatissima al microscopio, scorgeremmo su di essa delle montagne.

È solo l’impotenza o la pigrizia d’indagare o la semplice mancanza di un microscopio che ci fa accontentare di quello che vediamo: una superficie compatta e liscia.

Se io ricercassi la realtà in assoluto, succedendomi quanto descritto, sarei fottuto.

Sono invece felice di aver scoperto che cerco la realtà dell’uomo: dell’uomo in rapporto al tutto che lo circonda.

In questo particolare momento della mia vita, del mio lavoro, mi interessa una visione cosmica delle cose nell’ambito di un tutto sempre più vasto, sempre più noto e possibile. Mi sento attratto dall’immaginare la futura vita dell’uomo in orizzonti da lui solamente immaginati e sognati.

Abbiamo, oggi qualcosa di più che i sogni per viaggiare nello spazio e oltre, dove la terra non esercita più il suo potere, dove non esiste forza di gravità. Per questo i miei quadri sono dei paesaggi. Paesaggi del cosmo per l’uomo della terra che conquista uno spazio-tempo universale.

Arturo Vermi

(gennaio 1972)

 

Il disimpegno

 Dichiaro iniziata l’era del disimpegno, poiché oggi sono diverso da ieri, devo modificare o negare ciò che ho affermato ieri.

Senza questa libertà, non c’è evoluzione, progresso, scienza, felicità.
Quindi basta impegni con: il padre, la madre, i figli, la patria, il dogma, gli ideali, la parola data, ecc ecc.

Facciamo soltanto ciò che ci fa felici!

Arturo Vermi

(novembre 1976)

 

Perché l’Azzurro

Pensare al domani, è l’unico modo che abbiamo a disposizione per essere un po’ eterni.

L’uomo è colto sempre di sorpresa dal presente, e non è quasi mai preparato per il futuro. 500 anni fa Galileo ha dimostrato che la terra gira intorno al sole, ma l’Uomo si comporta ancora come fosse il centro dell’universo, anche se comincia a dialogare con le piante, e, con la parapsicologia inizia un’indagine che lo porterà sempre più vicino a capire sé stesso.

A vent’anni di distanza dall’aver vinto la forza di gravità ha inviato una sonda al di fuori della nostra galassia nel tentativo di comunicare la nostra presenza, sul terzo pianeta del sistema solare, agli altri abitanti del cosmo.

Questi , i problemi, queste le prospettive dell’uomo domani.

A me sembra che si debba cominciare a vivere considerando come reali queste future possibilità, quindi basta difendere solo quello che sappiamo o come abbiamo vissuto fino ad ora, cominciamo ad essere diversi, anche se non sappiamo come.

Un pugno fa male una carezza fa bene.

E’ un minimo di indicazione. Non è molto, ma se riusciremo a fare un Uomo FELICE, questo sarà l’uomo che conquisterà lo spazio, e parlerà con gli Eloim.

Questo…”Giornale” è il mio secondo e forse maldestro tentativo di aprire un varco nella valanga di notizie drammatiche che la stampa quotidiana è costretta (?) a dare al pubblico, un giornale dove voglio dire solo cose belle, cose felici.

Da quando ho questa pretesa sono incorso in ogni sorta di guai, quando pronuncio la parola “felicità” mi guardano tutti sgomenti, come se avessi detto un’eresia , la gente è più pronta a recepire e considerare i guai e le disgrazie come dovute, che la gioia, la felicità .

Ahimè, è tutta la vita che siamo costretti a fare cose che non ci piace fare, e ci è vietato fare quello che vorremmo, chissà per quale occulto disegno, ma sono sicuro, che le future generazioni che vivranno su questa terra, non considereranno una “conquista sociale” mangiare 3 volte al giorno e spendere tre quarti della propria esistenza a questo scopo. Gli obiettivi saranno altri.

Vedete bene, ora, che il Disimpegno ci si impone; se l’Impegno, traduco dal vocabolario s.m. – assunto obbligo- promessa data – debito – dovere- spesa inevitabile, se l’impegno dunque, ci ha portati qui, in guerra tra l’uomo e l’uomo, precario equilibrio biologico, ecologico e forse anche cosmico, se l’impegno è questo, disimpegniamoci! Disimpegniamoci dalla cultura che ha permesso le multinazionali, l’accettare come “inevitabile” farci del male, il credere la felicità proibita.

È possibile.

Certamente non basterà togliere dal vocabolario parole come guerra, violenza, angoscia, paura ecc,ecc. o stampare L’Azzurro, ma certamente è un inizio, un allenamento.

Chissà mai, che raccontando solo cose belle, non si cominci a farle.

È ovvio che dovete scusare il modo con cui ho detto queste cose, ma solo uno stupido guarda l’indice di una mano tesa ad indicare la luna.

Arturo Vermi

(maggio 1978)