Biografia

Arturo Vermi

Arturo Vermi nasce a Bergamo il 26 marzo del 1928. Dopo il trasferimento a Milano, ancora giovanissimo, si avvicina alla pittura da autodidatta, realizzando opere di matrice espressionista. La sua prima mostra, nel 1956, è ospitata nel Centro Culturale Pirelli, l’azienda per cui all’epoca lavora come operaio. Progressivamente, anche grazie alla frequentazione degli ambienti di Brera, la sua pittura si dirige verso uno stile di ambito informale. Dopo un soggiorno di due anni a Parigi, rientra a Milano e fonda con Ettore Sordini, Angelo Verga, Agostino Ferrari, Ugo La Pietra e Alberto Lùcia il gruppo del Cenobio. Risalgono a questo periodo le Lavagne, le Lapidi e i primi Diari, primi passi nella ricerca sul segno che caratterizzerà buona parte della sua produzione. Nel 1964 risiede alle Botteghe di Sesto, luogo di riferimento delle avanguardie artistiche dell’epoca, e vi frequenta artisti quali Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Lino Marzulli, Lino Tiné e Marco Carnà. Nello stesso periodo si lega professionalmente all’architetto Arturo Cadario. Comincia a esporre in alcune delle più importanti gallerie italiane e in prestigiosi spazi espositivi, come la Rotonda della Besana a Milano e i Palazzo delle Prigioni Vecchie a Venezia. Intanto la sua ricerca prosegue, con le Presenze, i Paesaggi e le Marine, che aprono nuovi motivi di riflessione nella ricerca del segno. Nel 1967 l’amicizia con Lucio Fontana si consolida e Vermi approfondisce con lui quel concetto di spazio che sarà poi importantissimo nella sua ricerca futura. Nascono opere quali le Piattaforme e 100.000.000 di anni luce, quest’ultimo esposto alla Galleria San Fermo a Milano nel 1973.

Il Ministero della Pubblica Istruzione gli commissiona un documento sulla sua opera da utilizzarsi quali supporto didattico per le scuole superiori.

Nel 1974, seguendo un preciso progetto esistenziale, si trasferisce fuori città, in Brianza, prima a Verderio poi, nel 1985, a Paderno d’Adda. Intanto continua a esporre, con grande successo, in importanti gallerie milanesi, confermandosi come uno dei protagonisti della scena artistica italiana del tempo.

Il 1975, definito da Vermi anno “Lilit”, è di fondamentale importanza. L’artista decide di cambiare rotta e dà inizio all’elaborazione della sua “proposta di felicità”, poi espressa a pieno nel primo numero dell’“Azzurro”, rivista pensata per contenere solo buone notizie. L’“Azzurro” vedrà poi un secondo numero, distribuito alla Biennale di Venezia, nel 1978.

Risale allo stesso periodo il Manifesto del disimpegno, potente affermazione della propria libertà creativa. Con queste importanti riflessioni sul concetto di felicità, che diverrà il tema centrale della sua ricerca, si apre una nuova fase della produzione artistica del Vermi. Una svolta destabilizzante non accettata univocamente dal sistema dell’arte, soprattutto dal mercato che fatica ad accettare il nuovo corso dell’artista.

Risalgono a questo periodo una serie di opere sorprendenti e fuori dagli schemi, quali l’Annologio (un “misuratore di tempo più umano” che si basa sullo scorrere delle stagioni) o Com’era bella la Terra, (vera e propria azione artistica che proponeva una riflessione, ancora tristemente attuale e sensibilmente in anticipo sui propri temi, sulle condizioni del nostro pianeta),

Nel 1980 progetta e incide le Sequoie, sorta di tavole dei comandamenti che, l’anno successivo, durante un viaggio in Egitto con Antonio Paradiso e Nanda Vigo, restituirà simbolicamente a Mosè sul monte Sinai. Negli anni successivi nascono i Colloqui e il ciclo Luna-Terra-Sole, che spingono l’artista a riavvicinarsi alla figurazione.

Arturo Vermi muore a Paderno d’Adda (Lecco) il 10 ottobre 1988.