Arturo Vermi. Estratti di vari Autori
(…) è evidente in quasi tutti una maniera di esprimersi letterale, senza schermi, secondo il primo impulso, in modo arcaico e diretto, ma forse troppo scoperto, lontano ancora da quella intellettuale ricerca che oggi chi ha l’uso alla pittura del secolo trova e vuole trovare, come simbolo di un’epoca che dalla verginità del sentimento parte per complesse meditazioni figurative o antifigurative ma di sapore sempre più tormentato e sottile, nel primitivismo medicato dei realisti o nelle senili infantilità degli astrattisti o nelle dignitose rimembranze classicheggianti dei più giovani. (…)
Marco Onorato, 1956
(…) La delicatezza assorta di Arturo Vermi trova nella sua più recente stagione una nuova dimensione: egli ci presente ora in primo piano una sorta di griglia ove si accumulano, come se fossero delle stalattiti, i più preziosi effetti coloristici. Ed un fondo unito, carico di musicalità, crea un contrappunto teso e vibrato a quella forma. La natura sognante ed elegiaca del Vermi trova quindi nell’invenzione formale un motivo per approfondirsi. (…)
Giorgio Kaisserlian, 1962
(…) Il segno di Vermi è pittorico, ma si organizza in un ritmo più monodico, quasi fino all’ossessione: con richiami intimisti, di valore lirico. è un segno dunque che, anche quando si risolve in bianco e nero, vive di colore, risolvendosi pittoricamente. Anche in lui c’è un’esigenza di filtrato linguaggio , di decantazione al massimo: e se può sembrare che questo continuo ripetersi possa finire in una formula, guardando più attentamente ci si accorge che in sostanza il segno è sempre emotivo, è sempre legato, quasi, al variare degli stati d’animo: che è , insomma, un segno di valore poetico. (…)
Guido Ballo, 1964
(…) Avevo già visto nelle precedenti collettive il suo tentativo di dividere la superficie e di tendere lo spazio verso una cornice ornamentale, ma la sua geometria interiore si distanziava da quei problemi di incontro fino a contrastare con la sua necessità orizzontale. (…)
Il “fare le aste” è un gioco antico e dimenticato, ostile all’ornamento, severo e poverissimo. Se per lui significava in principio fatti di memoria, strade senza incontri ed un lungo esercizio, l’articolazione verticale distribuita sulla superficie lo conduce ai fogli del giornale. Ciò che sono oggi le opere di Vermi, gruppi di notizie, cronache illeggibili, fatti sconosciuti, edizioni personali.
Contro la sua necessità orizzontale, a cui prima accennavo, si difende per mezzo di un colore sintonizzante con il proprio organismo, che per contrasto di polarità ne reclama un altro di segno opposto.
Invece che di una scala di colori si può parlare, usando un linguaggio ultrafanico, di irradiazione cromatica, dove il verde, corrisponde al silicio, possiede radiazioni perturbatrici e favorisce gli istinti materiali, dove l’arancione è il colore delle persone timide, irresolute e caste.
Leggiamo nella storia dei vescovi di Eichstatt che quando fu aperta la tomba di Santa Walpurga la sue reliquie erano talmente impregnate di umidità, che, spremendole, essa usciva a guisa di rugiada, nelle mani di coloro che le toccavano non rimaneva neppure un granello di polvere: e questo accade specialmente a quelli che dipingendo gli uccelli dimenticano i presagi del loro volo.
Alberto Lucia, 1963
(…) Sono questi, corpi-oggetti che cercano un possibile approdo fra noi, come un luogo a distanza spaziale in cui sia possibile rintracciare un segno umano. Sono opere che si possono anche raggruppare a trittici, dipinti che, esposti, distruggono gli angoli cioè lo spazio obbligato e creano un rapporto con l’osservatore di nuovo tipo. Attualmente in opere come “ frammento” 1972-73, chiamato anche “100.000.000 di anni luce”, Arturo Vermi ha scandito forme-colore che, come radar, captano l’attenzione in un habitat moderno. Si tratta infatti di forma concave o concavo-convesse, a seconda che siano al muro o sospese.
La trama o tessitura in esse contenuta raccoglie la luce, a volte una forma-oggetto si concretizza, raccoglie il massimo di luce, raggiunge la sua culminazione e sparisce di nuovo nel cosmo del dipinto, lasciando affiorare in noi la percezione di quel fatto straordinario, che la nostra coscienza ha colto e dichiarato come testimonianza dell’evento. (…)
Aldo Passoni, 1972
(…) Vermi costruisce dal ’70 telai ricurvi la cui superficie è ricoperta da strati di oro a missione che sostituisce i colori e riflette intensamente la luce esterna in tutte le sue variazioni più impercettibili. Più telai, o frammenti,articolano pareti ascensionali, dove lo scudo concavo concentra la luminosità mentre le forme sagomate o “shaved canvas” dei vari scudi divaricano lo spazio oltre gli angoli della costrizione. Ognuno scelga tra le molteplici sollecitazioni di questi lavori che appaiono impregnati di trascendenza gotica (e l’autore ha parlato di “cattedrali”) oppure agiscono otticamente come specchi ustori in grado di mettere a fuoco metaforicamente la posizione e la distanza dello spettatore davanti a loro; o anche si presentano come frammenti di quell’universo in espansione che possiamo solo immaginare (“l’infinito è un quadrato senza angoli”, dicevano gli antichi cinesi). Ognuno può davvero qui collocare il proprio viaggio immaginario.
Ma ai fini delle problematiche che specificamente c’interessano precisiamo questo: Vermi sta mettendo pietre alla ricostruzione di un’arte visionaria, e non sono molti a farlo. Se ha tratto qualcosa dall’arte minimal americana, lo ha fatto in modo del tutto originale e su radici europee; le sue dorate icone spaziali hanno superfici neutre e impenetrabili come quelle della sculture minimal americane, ma sono ancora più pure, e sfuggono al puro riscontro tecnologico dei primi per inoltrarsi, magari avventurosamente, nella metafisica, sia pure una metafisica materialista,… (…)
Tommaso Trini, 1974
(…) La vena idealistica, romantica, iniziale non si è incrinata né impoverita. Si è anzi esaltata. Sulla base di comuni discorsi formali Vermi ha saputo trovare un lessico visuale consequenziale in tempo e modo, anticipando o recuperando (come osserva molto acutamente Trini), per la decantazione di un filtro culturale europeo, altri esiti raggiunti. Se il segno, se la pittura di segno, iniziale alternativa ad un dibattersi sterile nell’informale, si è evoluta in azione, evento monumentale, dev’essere vista come logico passaggio dal segno scritto al gesto, teatralmente inteso, vitale. (…)
Giorgio Brizio, 1975
(…) Dalle “lune” di Vermi, fantastiche presenze nella concretezza di un interno o di un paesaggio, non spira quell’aria dolorosa; per l’inversa proporzionalità del rapporto con l’ambiente, rispetto al reale, ci appaiono come forme varie e giocose, espressione di una particolare levità d’animo dell’artista.
Altri lavori completano la mostra da Montrasio formando una piccola “antologica” mirante ad esemplificare, in termini precisi, i vari momenti dell’evoluzione di Vermi il cui linguaggio segnico e gestuale, drammatico nella sua singolare essenzialità, scandisce i tempi della storia umana dalle origini, iniziando con i diari (l’urgenza di comunicare) proseguendo con le successioni in chiave di simbolo delle “presenze”, delle “isole “, delle“ invasioni”, delle “piattaforme” fino alla trascendenza, con i “frammenti di anni luce”. Insieme alle “lune”, che sono un tuffo nell’innocenza dell’infanzia, ecco profilarsi “L’Azzurro”: l’idea, il suggerimento di uno stato di grazia perfetto, di una felicità intuibile ancorché non godibile nell’arco della nostra vita se non come coscienza di operare per generazioni prossime a venire, le quali godranno i frutti. E tanto gli sta a cuore “L’Azzurro”, in cui vorrebbe coinvolgere, che il suo pensiero si va concretando in un gesto: una pubblicazione “nella quale“ afferma Vermi “voglio dirvi solo di cose belle”. Ancora:”la vita non è tutta cronaca nera, come si vorrebbe far credere. Alleniamoci a volare e ci spunteranno le ali”. E lasciando altre dissertazioni ai filosofi, Vermi, com’è degli artisti, si mette in azione (…)
Hilda Reich, 1976
(…) Dunque il quadro di Vermi non è mai stato oggetto autonomo, ma sempre luogo di relazioni, di incontri, nasce da un momento di tensione narrativa o dall’aspirazione ad espandersi di una pulsione che, raffigurata, nella scala della tela, come una presenza dimensionalmente ridotta, è tuttavia un nucleo di forze il quale tende ad affermare la propria individualità, ad emergere libero nello spazio assoluto di cui è parte.
Segno di un tempo relativo, aspira ad una propria assolutezza nello spazio totale. Questa relatività, che è tutta nostra, e dalla quale altri si illude di evadere attraverso il modulo geometrico, Vermi la vede esasperata dal mondo di relazioni effimere e brutali che il quotidiano istituzionalizza. (…)
Attraverso l’esperienza di quegli incontri si è fatto sempre più imperativo in Vermi
il bisogno di superare il mezzo istituzionale dell’arte, l’oggetto artistico, rinunciando anche agli oggetti da lui stesso definiti, per aprire un colloquio più diretto con la gente sui temi apparentemente scontati e semplici della gioia, della bontà, della natura, alla riscoperta dei significati elementari della parole corrispondenti.
È un colloquio che ha finora individuato i propri tramiti nella “Dichiarazione dell’era del disimpegno” stesa nel 1976, e nei numeri unici “L’Azzurro”, pubblicato nel 1975 e nel 1978; ma, accanto al mezzo letterario, la ricerca di Vermi si è indirizzata in due fondamentali direzioni. La prima è individuata dalla proposta di una dimensione temporale alternativa a quella convenzionale, che abbia come strumento di misurazione e di prescrizione non più l’orologio, ma l’Annologio, assumendo a riferimenti di scansione e di comportamento il naturale corso delle stagioni ed il principio del bello e della felicità già enunciato nella “Dichiarazione dell’era del disimpegno”. La seconda direzione, individuata dai Colloqui: luna-terra-sole (variante del tema della Luna) e dai paesaggi distrutti dall’intervento dell’artista e del pubblico (Com’era bella la terra) ha ancora il tempo come tema centrale: ma si tratta del tempo dell’archeologia terrestre, un’era che verrà dopo il possibile genocidio e nella quale in nostro tempo umano si potrà offrire, forse, in una sequenza disorganica di frammenti. (…)
Bruno Passamani, 1981
(…) La luna che sovrasta il paesaggio, che sovrasta l’uomo lasciandolo però libero di godere dei colori, della natura, del suo stesso essere. Vedere questi dipinti di Vermi lascia sorpresi, perché si ripensa al rigore e alla precisione della sua produzione più nota. Dei grandi quadrati scalfiti da una “scrittura” di marca arcana e le grandi “tavole” scolpite sembrano lontanissimi. Vermi è andato sulla luna alla ricerca della libertà e della felicità.
E ci si ritrova in questa ricerca, ci si abbandona dentro ai dipinti anche piccolo con quella luna a rilievo che dà tono a tutto quanto; ci si lascia avvolgere dall’atmosfera pacata e “brillante”, luminosa e stimolante, che i riflessi lunari riescono a costruire. (…)
L’esigenza interiore trova appagamenti in quel quarto di luna in cui sembra di veder sdraiato l’artista, con le mani sotto al capo, rilassato, felice (…)
Luigi Cavadini, 1983